La lingua batte dove il dente duole by Andrea Camilleri Tullio De Mauro

La lingua batte dove il dente duole by Andrea Camilleri Tullio De Mauro

autore:Andrea Camilleri Tullio De Mauro [Tullio De Mauro, Andrea Camilleri]
La lingua: ita
Format: azw3
Tags: eBook Laterza
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2014-01-08T23:00:00+00:00


5. Scrivila come l’hai raccontata a me

Tutto può cambiare, ma non la lingua

che ci portiamo dentro, anzi che

ci contiene dentro di sé come

un mondo più esclusivo e definitivo

del ventre materno.

Italo Calvino

Camilleri Io all’inizio scrivevo poesie. Avevo cominciato da giovane, anzi da bambino. Allora le poesie si scrivevano alla mamma, si scrivevano al duce, ai Templi di Agrigento. I modelli erano Carducci e D’Annunzio. Più D’Annunzio che Carducci: lui era, come diceva Pirandello, uno scrittore di parole, ci sguazzava dentro.

Solo quando diventavi più adulto, scoprivi che esistevano altri poeti. Mi ricordo una professoressa – si chiamava Giudice –, che mi disse: «Guarda che oltre Pascoli ci sono altri poeti, ci sono per esempio i crepuscolari, Gozzano, Corazzini, se vuoi te li presto io, e ti presto anche un poeta che si chiama Montale». Quella per me fu la rivoluzione del ’48 perché, dopo di allora, il mio modo di scrivere poesie cambiò completamente.

La poesia per me è come una sorta di shuttle; pigliamo per esempio un sonetto, hai a disposizione 14 versi di 11 sillabe ognuno, una miseria, perciò se non hai una propulsione ascensionale immediata, non decolli. La lettura del Canzoniere di Petrarca fu fondamentale per capire, per scoprire, la perfezione di un meccanismo metrico vero con le sue regole non ovviabili. Oggi, invece, in qualsiasi canzone senti rimare due infiniti o due sostantivi come se niente fosse. Ebbi la fortuna di avere pubblicate le mie prime poesie da gente qualificata. Ungaretti le incluse in una sua antologia, lo stesso fece Fasolo, e vinsi dei concorsi di poesia importanti. Dopo aver pubblicato poche altre poesie smisi perché dirottato sul teatro. E questo accadeva verso gli anni Cinquanta.

Scrissi dei racconti e questi riuscivo a scriverli in italiano, erano elzeviri, racconti brevi, che occupavano una colonna e mezzo di giornale. Oltre non riuscivo ad andare.

Il passaggio c’è stato nel momento in cui ho deciso che mi ero stufato di raccontare in teatro storie d’altri, con parole d’altri. E per raccontare la storia mia, dovevo trovare un mio modo di scrivere. Un mio modo di scrivere che rispettasse sempre e comunque la struttura dell’italiano.

De Mauro Più di altri libri oggi circolanti, i tuoi mi paiono capaci di distillare l’essenza più segreta e peculiare della lingua, le sue grandi capacità di «escursione», di passaggio da un registro all’altro perfino entro una stessa frase...

Camilleri Voglio dirti perché cominciai subito a scrivere nella lingua in cui scrivo. Sentivo che il mio italiano aveva un respiro corto. Come dicevo, giovanissimo, scrivevo poesie e racconti brevi... in italiano. E andava bene anche per i racconti di terza pagina. Il problema si presentava con i racconti lunghi. Se ne interrompevo la scrittura, metti conto per andare a dormire, l’indomani mattina, quando riprendevo, avevo difficoltà a ritrovare lo stesso tono, lo stesso timbro del giorno avanti. Era come scrivere una lettera iniziandola in francese e continuandola in inglese. Allora mi sono detto: «Così non riuscirò mai a scrivere».

Colsi l’ottimo pretesto e mi dedicai interamente al teatro; abilmente plagiato dal mio maestro Orazio Costa, divenni incapace di scrivere anche un solo rigo, un solo verso.



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